Donne uccise e uccise in quanto donne: la differenza è abissale. Cambia tutto. Da una parte la donna è vittima, dall’altra è vittima in quanto donna, a partire da squallide e ancestrali discriminazioni che però, curiosamente, tardano ad essere riconosciute. Perciò, se non fosse tragicamente serio, sarebbe comico il fatto che il Governo italiano abbia scelto di impegnarsi nella lotta al cosiddetto femmincidio trascurando bellamente il più spietato killer di donne di ogni tempo: l’aborto selettivo.
Stiamo parlando di un fenomeno vastissimo e segnalato già da tempo – la prima a sollevarlo, quasi trenta anni or sono, fu proprio una donna, Mary Anne Warren [1] – ma che continua a godere di una preoccupante omertà. Omertà ad oggi infranta solo parzialmente dopo che, negli ultimi decenni, è iniziato ad emergere lo spaventoso bilancio della mattanza prenatale soprattutto laddove questa, complici legislazioni crudeli e mirate sul versante, ha maggiormente preso piede, e cioè nel continente asiatico. Parliamo di numeri che fanno paura solo a ripeterli.
Dal censimento indiano del 2011 è per esempio emerso che l’equilibrio fa maschi e femmine è sceso a 1.000 contro 914 mentre nel 1981 le femmine erano 962, nel 1991 945 e nel 2001 927; un calo drammatico. Peggio la Cina, dove la Fondazione per la ricerca sullo sviluppo ha chiesto un deciso ripensamento alla politica del figlio unico [2]. E da noi? Apparentemente tutto a posto, nel senso che non se ne parla. Eppure c’è. E chi ha provato più di altri a rompere il silenzio sul tema è stata, pure qui, una donna, Anna Meldolesi, autrice di un testo eloquente già nel titolo: “Mai nate” [3].
Libro di spessore ma, stranamente, praticamente ignorato. Così come quasi ignorata, tornando a noi, è la realtà italiana dell’aborto selettivo come prima e più spietata frontiera del femminicidio. Si tratta di una realtà che ad oggi interessa per lo più le comunità asiatiche immigrate, ma che non sfugge alle statistiche. Che ci dicono, per esempio, come il sex ratio – cioè il rapporto tra maschi e femmine alla nascita, che in condizioni normali è di 105 a 100 – nelle comunità cinesi sia pari a 119 maschi contro 100 femmine, mentre arriva persino a 137 a 100 nelle comunità indiane [4]. Il che significa decine, anzi centinaia non di femmine uccise, ma di uccise in quanto femmine.
In America qualcuno ha pensato a dei rimedi – in Arizona, per esempo, Jan Brewer ha voluto una legge che impone a chi abortisce di dire che non lo fa per eliminare feti femmina o quelli il cui padre è di etnia sgradita -, ma da noi della «guerra alle bambine», tutta prenatale e quindi protetta dall’invisibilità apparente oltreché dall’indifferenza, continuiamo ad infischiarcene; e dire che, del vituperato femminicidio, è a tutti gli effetti la prima e più feroce frontiera. La stessa che, per ora, si consuma protetta dall’ombrello del diritto e della nostra ingenuità se pensiamo che un giro di vite contro la violenza sulle donne possa sul serio cambiare le cose.
Note: [1] Cfr. Warren M.A. Gendercide. Rowman & Allanheld, 1985; [2] Del Corona M. La Cina invecchia e ripensa la legge sul figlio unico. «Corriere della Sera», 1/11/2011, p. 21; [3] Cfr. Meldolesi A. Mai nate. Perché il mondo ha perso 100 milioni di donne, Mondadori, Milano 2011; [4] Cfr. La guerra alle bambine è qui. «Il Foglio», 31/03/2012, p. 3
Francesca ha detto:
…se tu lavorassi in sanità in Italia forse parleresti maggioramente di un altro tipo di aborto selettivo, che è quello che consiste, sostanzialmente, nell’eutanasizzare gli embrioni cui viene fatta una diagnosi prenatale o in certi casi pre-impianto (ma in Italia questo ancora non è possibile in quanto siamo quasi sempre in ambito di fecondazione eterologa, raramente omologa) di grave patologia.
Al corso per l’esame di infermieristica ostetrica ci hanno spiegato che ormai ogni reparto lavora “in modo selettivo”. La gravidanza non è una patologia e infatti la maggior parte dei medici e infermieri e ostetrici sono obiettori per quanto riguarda l’aborto (interruzione volontaria di gravidanza) di un feto sano, sia esso maschio o femmina.
Atteggiamento molto diverso viene invece assunto dal personale sanitario per quanto concerne l’aborto selettivo di embrioni molto malati.
La paura che coglie i genitori (comprensibile!) induce il medico a consigliare l’eutanasia dell’embrione compromesso (per non mettere al mondo un figlio cerebroleso, gravemente ritardato, un vegetale ecc.).
Ovviamente il dibattito è tuttora in corso. Io non voglio assumere un atteggiamento giudicante nel senso che pure io avrei un paura folle all’idea di dovermi occupare di un figlio o figlia con terribili deficit cognitivi, il che non significa solamente disabile. Mi sono sempre dichiarata obiettrice di coscienza. Ho sempre pensato alla maternità come ad un evento naturale, biologico, che può essere più o meno desiderato (ma senza fare di esso un’ambizione egoista, il figlio a tutti i costi ecc.) ma comunque lo si accetta perché fa parte della vita, fa parte della natura delle cose. Ci vuole serenità per accettare che a volte le cose non vanno come vorremmo, per sperare che un Amore più grande possa consolare e sostenere il nostro iniziale “smarrimento” di fronte alla patologia (degli altri, più che la nostra, e specialmente quella dei bambini e dei giovani). Gli estremi di questo pensiero che noto crescenere negli ambienti sanitari sono, da un lato, il ricorso all’eutanasia terapeutica per gli adulti, all’aborto terapeutico per molti embrioni malformati, dall’altro l’accanimento terapeutico (nei malati terminali, negli anziani o anche in ambito pediatrico), il voler trovare guarigione a tutti i costi anche a detrimento di altre persone o di altre creature. Ci sono dei cicli naturali. Allora non ci fidiamo che lo Spirito di Dio li regola in modo sapiente?! Mi pare di no, visto che vogliamo metterci le zampe, ma non noi in sanità, bensì i cittadini. Ci sono pazienti, gestanti e famigliari che arrivano al punto di minacciare il medico e gli operatori se non fanno “quello che vogliono loro”. Ma la scienza medica è al servizio del vero Bene delle Persone, non delle loro ossessioni e /o scelte di comodo o di convenienza del momento. Però ricordati che “è più conveniente” per la logica del mondo scartare “un prodotto malformato”, che accettarlo. Non dico “accanirsi per curarlo”, dato che il più delle volte non ci puoi neppure fare chissà che, ma almeno accettarlo come parte, anche lui, del cerchio della vita.
Belle parole mi dirai, neanche tanto… il fatto è che, in ambito di aborto selettivo (a volte detto anche in certi casi terapeutico, non discriminazione di sesso ma selettivo sulla base della presenza o meno di date patologie embrionali o fetali) a farla da padrone è la paura. Io capisco chi ha paura perché nessuno di noi ne è esente. L’antidoto alla paura è l’amore e la solidarietà sociale. Invece la società si chiude all’accoglienza, sempre di più, di chi appare “un peso” più che una risorsa. Forse anche questo “fa parte della selezione naturale”, come modo di sentire, ma appunto se di selezione si deve parlare, perché è innegabile che essa vi sia, allora dovrebbe essere realmente “naturale” e invece è artificiale, cioè la stiamo facendo noi, in questo caso e in altri casi, ed è feroce credimi, ma occulta, spesso nascosta, ma è in atto più che ai tempi del nazionalsocialismo tedesco…
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